L’ uomo infatti non fosse approdato sulle sue coste, la storia del Mediterraneo non sarebbe stata sicuramente  la stessa.

L’ isola , che ha sempre fatto da ponte tra Europa, Medio Oriente ed Egitto, svela- nelle sue aree archeologiche -un passato che si colloca a fondamento della vita dell’ uomo moderno.

GO’RTIS – GORTINA ( IRAKLEIO)

Sono in molti a chiamarla ancora Gortina, secondo l’ uso latino. Luogo cruciale nella storia dell’ isola durante l’ età minoica ed ellenistica, la città divenne, infatti, in età romana capitale della provincia di Creta e della Cirenaica, trasformandosi in raffinato e cosmopolita centro urbano. Ma di tanta grandezza, oggi fanno fede più soltanto gli scavi.

L’area archeologica
Disseminati su una superficie enorme a nord e a sud della strada che attraversa il sito ( le visite guidate su limitando in genere alle principali rovine della parte settentrionale, ma vale decisamente la pena di spingersi anche nell’ oliveto a sud della via), gli scavi sono introdotti nella sezione settentrionale, a sinistra dell’ ingresso, dall’imponente ma diroccata basilica di Tito( fine secolo. VI- inizi VII), uno dei più importanti edifici cristiani di Creta, dov’era venerata la reliquia di S. Tito oggi nella chiesa di Agios Titos a Iraklion; dopo la distruzioni dei saraceni(826), venne riedificata nel 965 e nuovamente rifatta nel XIV secolo, cadento quindi in abbandono e venendo usata come cava di materiale per costruzioni .

I ritrovamenti a Gortyna risalgono a differenti epoche, dal periodo greco antico (di cui si conservano anche diverse monete) all’epoca romana. Proprio al centro della città romana c’è il Pretorio, sede del governatore romano di Creta. Il pretorio fu costruito nel I secolo dC, ma è stato riadattato nel corso dei successivi otto secoli. Nella stessa sala interna sono ancora visibili le rovine dei bagni romani e il tempio di Apollo, insieme a vari altari dedicati a divinità egizie (Iside, Anubi e Serapide). Altri ritrovamenti di epoca romana sono avvenuti successivamente, come il teatro, che aveva due ingressi e forma semicircolare. Dietro il teatro romano, incise su grandi lastre di pietra, sono esposte le leggi di Gortyna, in dialetto dorico.

Gortyna era anche munita di un acquedotto che correva parallelo al fiume Lethaio. Tutti i reperti sono stati portati al museo di Heraklion, eccetto una piccola parte che ha trovato posto in un piccolo museo poco fuori del villaggio di Agios Deka. Si è anche scoperto che la città era in guerra con Festo e contro quest’ultima vinse una guerra che le assicurò il controllo di uno sbocco sul mare (nei pressi dell’attuale Matala).

Il mito di Creta trova il proprio inizio in queste zone, difatti si narra che Zeus trasformato in toro con Europa in groppa, sia partito dal Libano (Fenicia) per sbarcare proprio in questa parte di Creta. Qui si trova ancora il platano che secondo la leggenda avrebbe ombreggiato gli incontri  tra Zeus ed Europa, e che da allora stando alle leggenda- non avrebbe mai più perso le foglie.

IL CODICE DI GO’RTIS

Scoperta  importantissima dall’ archeologo italiano Federico Halbherr https://it.wikipedia.org/wiki/Federico_Halbherr ( Rovereto, 15 Febbario 1857 – Roma, 17 Luglio 1930  

Fra le scoperte italiane ( http://Scuola Archeologica Italiana di Atene),  fondamentale per la conoscenza della società dell’antica Grecia, è una grande iscrizione in lingua greca (dorica) della fine del VI e l’inizio del V secolo a.C., contenente le cosiddette “Leggi di Gortina”( regina delle iscrizioni) sul diritto di famiglia. Un codice dall’enorme valore storico, il più antico documento di diritto scoperto in Europa.

Federico Halbherr  Compì importanti esplorazioni, a Festo, a Gortina e a Hagia Triadha, che vennero poi esposte in numerose pubblicazioni. Nel 1910 fu il fondatore e direttore della Missione archeologica italiana a Creta.

La vita di Federico Halbherr correva senza nulla di particolarmente eccitante, fino a quel mese di luglio 1884. Il giovane era nato nel 1857 da una famiglia con lontane origini svizzere della borghesia imprenditoriale di Rovereto, vivace cittadina ancora sotto il dominio dell’impero Austroungarico (la storia narrata da Isabella Bossi Fedrigotti nel suo primo romanzo Amore mio, uccidi Garibaldi, Longanesi, 1980, ambientata durante la Terza guerra d’indipendenza, racconta la vita a Rovereto dalla prospettiva dei filoaustriaci), e niente faceva presagire un destino diverso da quello di molti altri rampolli che seguivano le orme paterne (Giovanni Battista Halbherr, padre di Federico, era “possidente”), oppure andavano a insegnare latino e greco nei licei. Nella media era anche il suo curriculum scolastico, a Rovereto e a Roma, dove si laureò nel 1880 a “pieni voti legali”. Un primo segnale della svolta che sarebbe arrivata ci viene dall’incontro con il patriarca degli studi umanistici in Italia nella seconda metà del XIX secolo, Domenico Comparetti. Il grande maestro ci mise poco a percepire le doti del giovane roveretano, nascoste da una riservatezza dettata dal carattere timidissimo. Ben presto, dopo aver frequentato l’Istituto di studi superiori di Firenze, dove probabilmente conobbe Giovanni Pascoli, Halbherr nel 1883 venne inviato dal Comparetti in Grecia a perfezionarsi presso l’Università di Atene, a fare esperienza, a imparare il greco moderno, a cercare epigrafi nelle isole Cicladi.

L’avvenimento che cambiò l’esistenza di Federico, trasformando il normale percorso scientifico di uno studioso di antichità in un succedersi di esperienze avventurose, fu ispirato ancora dal Comparetti. Nel giugno del 1884 questi lo mandò a Creta a cercare un’iscrizione greca della città di Axós, nota da vecchi manoscritti. In quel momento l’isola era ancora terra incognita sotto il profilo archeologico, e il giovane Halbherr contava di rimanervi giusto il tempo per ritrovare l’iscrizione arcaica e ripartirsene. Entrambe le aspettative andranno deluse: non troverà l’iscrizione di Axós, mentre Creta diventerà la sua seconda patria. Infatti, ad appena un mese dall’arrivo, Halbherr riportò in luce uno dei monumenti epigrafici più importanti del mondo greco: la Grande iscrizione di Gortyna. Il rinvenimento del codice di leggi della città cretese gli  procurò immediata notorietà negli ambienti scientifici e accademici, anche se la pubblicazione dell’importantissimo testo giuridico sarà opera del suo maestro Comparetti. Inoltre, la scoperta delle radici elleniche di Creta mise Halbherr sotto una luce favorevole nei confronti dei circoli culturali cretesi (ad esempio il Syllogo della città di Candia, l’odierna Iraklion) che mal sopportavano l’occupazione ottomana e auspicavano l’enosis, l’unione con la Grecia. Nel 1885, quindi, su suggerimento del medico-archeologo Josiph Chatzidakis, gli vennero affidati gli scavi nel sito che era il simbolo della “grecità” di Creta, la grotta sul monte Ida dove secondo il mito sarebbe stato allevato Zeus. Così, non ancora trentenne, Federico Halbherr aveva raggiunto la fama non solo presso gli ambienti scientifici italiani e stranieri, ma anche tra gli strati più umili della gente della “sua” isola, tra i contadini e i pastori delle zone più impervie, che lo conoscevano per nome – o Kyrios Federìkos, ‘il signor Federico’ – e a cui egli si rivolgeva nel dialetto locale.

Halbherr continuò le esplorazioni; attraversò l’isola da un capo all’altro, la percorse palmo a palmo, indugiando ovviamente sui monumenti epigrafici che costituivano il suo principale interesse. Infatti, rimase sempre un filologo ed epigrafista prestato all’archeologia: famosa era la sua abilità nel trascrivere i testi epigrafici più difficili, primo fra tutti quello della Grande iscrizione di Gortyna, la cui riproduzione fa bella mostra di sé nell’edizione del testo curata da Comparetti (Leggi antiche della città di Gortyna in Creta scoperte dai D.ri F. Halbherr ed E. Fabricius lette ed illustrate da Domenico Comparetti, Ermanno Loescher, Firenze, 1885). Nonostante ciò, pose sempre grande attenzione al territorio, alla topografia dei luoghi, a ogni indizio che fornisse elementi utili alla ricostruzione della civiltà cretese. La sua non era una semplice esperienza da “viaggiatore colto”, così comune fino ai suoi tempi. L’ottica che ne improntava in modo naturale l’azione era quella che oggi, fatte le opportune distinzioni, potrebbe essere definita “archeologia del territorio”: l’indagine che non privilegia un sito importante, un periodo particolare, un aspetto scientifico di attualità, ma estende il proprio interesse a un’intera regione, nel tentativo di individuarne le linee di evoluzione ambientale e storica. Creta, così ricca di “paesaggi culturali” ma anche “mitologici”, ancora nascosti sotto la cappa del dominio ottomano, costituì terreno fertile per l’azione del giovane roveretano, che amava la ricerca e la scoperta.

La notorietà internazionale acquisita in quegli anni servì ad Halbherr non solo a scopi personali (diventò professore di Epigrafia greca all’Università di Roma nel 1891), ma anche per favorire lo sviluppo delle ricerche italiane a Creta. Non era facile, però, trovare finanziamenti per un’attività che non si svolgeva sul suolo italico. Per cui, dopo aver passato un paio d’anni negli Stati Uniti (1891-92), riuscì a farsi finanziare le ricerche proprio da una delle istituzioni più prestigiose di quel paese, l’Archaeological Institute of America, mentre i resoconti sulle esplorazioni cretesi, sue e dei suoi collaboratori (ad esempio Antonio Taramelli e Lucio Mariani), furono pubblicati per alcuni anni sull’American Journal of Archaeology.

Il 1899 fu un anno cruciale: finalmente Halbherr riuscì a fondare la Missione archeologica italiana a Creta. Fu allo stesso tempo un punto di arrivo e di partenza: dopo anni di tentativi andati a vuoto e centinaia di lettere scritte a tutte le personalità che avrebbero potuto aiutarlo, con l’assenso di Luigi Pigorini, direttore della Scuola di archeologia dell’Università di Roma e grazie alla nuova situazione politica creatasi a Creta, con i Turchi di fatto estromessi dall’isola, ora l’Italia si insediava con una presenza scientifica stabile e ufficiale (anche se i fondi si mantennero sempre scarsi). A Creta erano ormai presenti molti archeologi di altre nazioni, primo fra tutti l’inglese Arthur Evans, che si preparava (marzo 1900) verso l’impresa che lo avrebbe impegnato per i decenni successivi e reso famoso nel mondo: lo scavo del palazzo di Knossós e la scoperta della civiltà che egli chiamò “minoica”, dal mitico re Minosse. Ebbene, la venuta di Evans a Creta venne favorita, con la signorilità che gli era propria, da Federico Halbherr. Lo scavatore di Knossós, ancor prima di arrivare, aveva voluto incontrare Halbherr a Roma, il 3 febbraio 1892, per avere informazioni sulla realtà archeologica dell’isola. La disponibilità e la cortesia del roveretano crearono le basi per una lunga amicizia che verrà ricordata dallo stesso Evans nel 1935 quando dedicherà a Federico Halbherr il quarto volume della sua opera monumentale The Palace of Minos, definendolo il “patriarca” dell’archeologia cretese.

Nel giugno del 1900 Halbherr iniziò i primi scavi sul sito di Festós, nella pianura della Messarà. Il luogo, che già aveva visitato diversi anni prima, a partire dal nome, ricordato da Omero, non lasciava dubbi sulla sua antichità. Tuttavia, fu probabilmente il desiderio di imitare i risultati ottenuti da Evans a Knossós che lo spinse a iniziare proprio in quel momento lo scavo sulla collina che conservava una delle più imponenti realizzazioni architettoniche della civiltà minoica. Festós si rivelò una straordinaria opportunità archeologica che egli, tuttavia, affidò subito al fedele allievo Luigi Pernier. L’eccezionalità dei ritrovamenti è dimostrata, tra moltissime altre cose, dal famoso Disco, scoperto nel 1908. L’interesse di Halbherr si rivolse un paio d’anni dopo a un sito anonimo, di cui non si conosceva il nome antico, posto su una collina vicina a quella di Festós, e che venne chiamato Haghia Triada, ovvero ‘Santa Trinità’, dalla piccola chiesa veneziana che si trovava nei pressi. Gli scavi misero in luce una struttura di dimensioni minori, interpretata come una “villa” di età minoica, la dimora estiva, si disse, degli stessi principi di Festós.

Molti altri furono i siti dove Federico Halbherr scoprì resti antichi ed epigrafi, tramite scavi o semplici sondaggi, con una tecnica archeologica per quei tempi apprezzabile, o dove semplicemente passò annotando sul suo diario. Tra i più importanti sono Priniás e Lebena (l’odierna Lendas), ma forse non tutti sanno che egli fece dei sondaggi anche a Knossós (dopo che Heinrich Schliemann aveva dovuto rinunciare per l’esosità del prezzo richiesto per il terreno) e che chiese al suo maestro Comparetti di acquistare un appezzamento per fare nuove ricerche. La richiesta non venne accolta: se fosse passata, chi visita oggi il Palazzo di Minosse non vedrebbe quelle orrende integrazioni in cemento armato e forse si farebbe un’idea più corretta del “labirinto”…

La personalità di Federico Halbherr risalta dalle lettere: la generosità verso amici, allievi e colleghi, l’abnegazione sul lavoro, la rettitudine, l’intransigenza verso sé stesso, e la pretesa di tale qualità nei propri collaboratori, infine una timidezza che gli impediva di partecipare ai convegni per presentare le sue scoperte. I corposi archivi epistolari con personalità di spicco dell’archeologia, della cultura e della politica italiana a cavallo tra Otto e Novecento dimostrano tuttavia una rara abilità diplomatica, che si esplicava ai livelli più alti, non solo all’interno – “archeologo ministeriale” è stato definito – ma anche nei paesi stranieri. Memorabili i viaggi a Costantinopoli, presso la Sublime Porta, per procurare all’Italia importanti concessioni archeologiche in Cirenaica. A questo riguardo, la sua missione in terra di Libia nel 1910 è stata vista come un’azione spionistica strumentale all’intervento dell’esercito italiano del 1911 e all’avventura colonialista giolittiana. Ma è bene ricordare che l’interesse primario di Halbherr per la Cirenaica datava a molti anni prima: in fondo Gortyna (con la sua iscrizione) in età romana era stata la capitale della provincia Creta et Cyrenaica… Fu, dunque, la politica a usare l’archeologia o l’archeologia a usare la politica?

Fu, invece, molto scarsa la produzione scientifica: circa una trentina di pubblicazioni – non molte per un professore universitario! – e tanti progetti rimasero nel cassetto, primo fra tutti il grande Corpus delle iscrizioni cretesi che verrà portato a termine dopo la sua morte da una sua grande allieva, Margherita Guarducci. Questo perché Halbherr rivolse gran parte delle energie all’organizzazione della ricerca, a quello che oggi viene chiamato fund raising, e all’apertura di nuove prospettive culturali per l’Italia nel bacino mediterraneo. Sotto questo aspetto il suo capolavoro è senz’altro la fondazione, nel 1909, della Scuola archeologica italiana di Atene, un’istituzione di altissimo profilo, diretta nei decenni da personalità di grande rilevanza scientifica, che ha svolto un ruolo formativo per intere generazioni di archeologi e che ancora oggi (sotto la direzione di Emanuele Greco, seguita a quella di Antonino Di Vita) – pur nelle gravi difficoltà economiche che l’angustiano – rappresenta un centro di studi e ricerche di assoluto rilievo.

Il percorso di vita di Federico Halbherr fu simile a quello del suo conterraneo Paolo Orsi. Entrambi operarono in territori lontani, aspri e difficili, che amarono profondamente, rimanendo tuttavia legatissimi alla loro patria, il Trentino. Entrambi dedicarono l’esistenza al lavoro, a discapito degli affetti personali. Halbherr cercò di ovviare a questa carenza con opere filantropiche e l’adozione di una giovane isolana, Maria Fasoulaki. Si racconta che nei primi anni cretesi si fosse innamorato di Skevó Kalokairinós, nipote di quel Minos Kalokairinós, mercante e appassionato di antichità, che condusse i primi scavi a Knossós nel 1878. Ma l’influente famiglia di Candia si intromise e non consentì che tra l’archeologo e la giovane potesse nascere un legame. La sfortunata o, meglio, la mai avvenuta storia d’amore influì probabilmente sulla scelta di Halbherr di non crearsi una famiglia. Quanto questa vicenda e i suoi protagonisti siano entrati a far parte dell’immaginario collettivo del popolo cretese è dimostrato dalla loro presenza nella storia della famiglia Kalokairinós raccontata dalla scrittrice cretese Rhea Galanaki nel best seller del 2002 O aionas ton labyrinthon, cioè ‘Il secolo dei labirinti’, di cui presso le Edizioni e/o è uscita la traduzione italiana.

Federico Halbherr morì a Roma il 17 luglio 1930.